Personaggi: San Valentino, San Faustino, Martedì Grasso, Carnevale
Genere: Comico
Avvisi: Slash
Rating: PG
Note: Tre anni fa ho scritto una storia intitolata You are so out that you're in in cui San Valentino ci raccontava com'era riuscito a conquistare San Faustino. Era inevitabile che prima o poi mi tornasse la voglia di riprendere in mano questo -verse, anche se solo per un altra one-shot.
Prompt: Scritta per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 3: "Chiamami ancora amore" di Vecchioni) ed è valida anche per 500 themes (tema 203: Tranello).

Riassunto: E' Febbraio, mese di San Valentino ... e purtroppo anche di Carnevale. Come sempre tendente alla lamentela, Valentino si lagna della poca quantità di giorni dedicata alla propria festa rispetto ad altre, a suo dire, molto meno importanti, ma nessuno lo sta a sentire. Casualmente il giorno successivo la maschera di Carnevale sparisce e la festa che rappresenta rischia di scomparire per sempre.
LA TRACCIA DEL CORIANDOLO


San Valentino non era mai stato un tipo che si accontentava con niente, uno di quelli che si faceva bastare il suo giorno di gloria, lo trattava con cura, ne seguiva le celebrazioni e poi, come gli aveva dato inizio, così lo concludeva e riponeva tutte le sue cose in un cassetto fino all'anno dopo. San Valentino era quel tipo di festività che non solo amava gli strascichi, ma ne aveva fatto uno stile di vita. Era essenziale per la sopravvivenza della sua persona che non solo lui ma chiunque, nella totalità delle terre conosciute, non smettesse di regalare cioccolato, mandare fiori, bigliettini e fare cose zozze su ogni superficie immaginabile nemmeno uno, due, tre giorni dopo il quattordici febbraio. Si era perfino messo con Faustino per tentare di subappaltargli il giorno con qualche moina – non che Faustino, nella sua stitichezza emotiva, fosse mai disposto a cedergli, ma insomma. Per questo, quando ogni anno, il quindici di febbraio, sistematicamente, San Valentino scopriva che scartata la cioccolata, appassiti i fiori, letti i biglietti e rimesse le mutande, la gente si dimenticava della sua festa e passava oltre, ecco che arrivava la depressione. E non era una depressione qualunque, perché San Valentino – oltre a non accontentarsi con poco – era anche una persona esageratamente drammatica che viveva le sue emozioni in maniera troppo intensa, che fosse felice oppure triste. Così se il quattordici febbraio faceva irruzione alla sede della A.F.A. in sella ad un cavallo bianco seminando cuori di cioccolata, seguito dalla banda che suonava canzoni d'amore e da un esercito di bambini vestiti da putti che spargevano petali di rose, il giorno dopo si presentava completamente vestito di nero, gli occhi gonfi di pianto nascosti dietro un paio di enormi occhiali scuri e un fazzoletto di seta con le sue iniziali stropicciato tra le dita. Una volta seduto alla sua scrivania, bastava che Faustino gli chiedesse cosa c'era che non andava perché lui si accasciasse come morto, piangendo finte lacrime di vera disperazione. Ci voleva sempre del bello e del buono per calmarlo, e anche quando la crisi passava, non era lo stesso per settimane.
Era così ogni anno, ma quell'anno in particolare fu peggio del solito perché San Valentino si era davvero impegnato a rendere la sua festa così emozionante da far sì che la gente la celebrasse per giorni invece che solo per ventiquattro ore. Aveva perfino scomodato i social network, si era fatto twitter – Follow San Valentino @LoveIsAllYouNeed – Facebook, aveva messo in commercio perfino una app che andasse bene su qualsiasi sistema operativo ti capitasse di avere sul cellulare. Invece il mondo non se ne accorse nemmeno. I suoi sforzi, di solito già moderatamente vani avendo a che fare con un branco di pecore insensibili ai palpiti del cuore – non vennero affatto riconosciuti. E quando capì per quale motivo, quando capì cosa – in nome del calendario – avesse distratto la sua gente dalla sua festa, perse completamente la testa.
“E' Martedì Grasso!” Sbraitò con la furia di mille uragani, per poi abbattersi come un pino che quegli stessi uragani avevano sradicato sulla scrivania di Faustino, il quale come al solito non ne rimase minimamente scosso. Sollevò le mani dalla tastiera del computer prima che Valentino ci atterrasse sopra e poi le tenne sollevate mentre osservava la cascata liquida dei suoi lunghi capelli neri che scendevano fino a terra.
“Non dici niente?” Bofonchiò ancora San Valentino, senza muoversi di un centimetro.
“Che cosa vuoi che ti dica, Vale?” Commentò pragmatico. “E' Martedì Grasso tutti gli anni.”
San Valentino sbuffò sonoramente raschiando il fondo della sua pazienza il cui barattolo era quello ridotto dei campioni di prova. Sollevò la faccia dalla scrivania e lo guardò attraverso i ciuffi spettinati dalla sua performance drammatica. “E' Martedì Grasso subito dopo San Valentino,” precisò, sperando di essere abbastanza chiaro. D'altronde non capiva come lo si potesse essere più di così.
Naturalmente Faustino si guardò bene dal comprendere la tragedia che stava avendo luogo. Ma d'altronde raramente lo faceva perché per lui niente era tragico, a meno che non si trattasse di bambini malati, animali in via di estinzione oppure onde alte dieci metri che spazzavano via interi villaggi. Come se i relitti dell'orgoglio di Valentino non fossero stati anch'essi spazzati via dallo tsunami di un altro giorno di festa.
“Continuo a non capire,” disse Faustino, insensibile al dolore del proprio compagno. “Non è una cosa che dovrebbe coglierti di sorpresa, era scritto sul Calendario.”
San Valentino agitò una mano con noncuranza, come a liquidare la cosa. “Io non guardo mai il Calendario,” replicò infastidito. “Il mio giorno non cambia mai.”
“Adesso si spiega tutto,” sospirò Faustino mentre lo raccoglieva delicatamente dalla tastiera e lo rimetteva in piedi. Era così abituato a farlo – Valentino tendeva ad accasciarsi come una diva del cinema muto su qualsiasi cosa glielo permettesse – che non gli costò nemmeno tanta fatica. “Non c'è molto che possiamo fare, ti pare? Non è che si possa fermare il Carnevale.”
Mentre Faustino lo rimetteva in sesto, pettinandogli i capelli dietro le orecchie e raddrizzandogli gli occhiali in cima alla testa, San Valentino si mise a ragionare su quell'affermazione. Qualche istante di meditazione più tardi, il suo viso si illuminò di un sorriso radioso e francamente un po' inquietante. “Sei un genio, Tino” esclamò, osservando un punto imprecisato alle spalle di lui.
“Cosa?” Chiese Faustino con lo slancio emotivo di un comodino.
San Valentino non considerò nemmeno – d'altronde non è che stesse davvero parlando con lui – e lo baciò in fronte come avrebbe baciato in fronte qualunque cosa si fosse trovato al suo posto in quel momento. “Ho delle cose da fare. Ci vediamo a cena. Ciao.”
Dopodiché era sparito, lasciandosi solo una scia di cuori di carta rossa alle spalle.

*


Martedì Grasso era il fratello di Carnevale e, quando Faustino si presentò in ufficio il giorno dopo, stava piangendo nel corridoio – il che equivaleva a dire che Faustino non poteva attraversare il suddetto corridoio per raggiungere il suo ufficio dal momento che Martedì, con la sua stazza imponente, ne occupava la metà. Quella non allagata dalle sue lacrime.
Impossibilitato a sedersi alla propria scrivania, Faustino fece buon uso del proprio tempo libero e investigò sulla faccenda. A quanto pareva, durante la notte era sparita la maschera di Carnevale. Ogni festa, nel giorno della propria investitura – vale a dire quando entrava ufficialmente a far parte della A.F.A. – riceveva un simbolo che la contraddistinguesse da tutte le altre e che rappresentasse da solo la sua persona, un po' come un sigillo reale. Il signor Natale aveva la slitta, la signora Pasqua un bell'uovo di cioccolata, Valentino aveva due cuori sovrapposti e Faustino uno solo, simbolo dell'orgoglio single. Martedì Grasso non aveva un simbolo proprio, in quanto festività giornaliera dipendente da una festività più importante, ma era rappresentato dal simbolo di suo fratello Carnevale, la maschera, appunto.
“Come sarebbe a dire che è sparita la maschera?” Chiese a Martedì, quando gli riuscì di farlo smettere di singhiozzare. “Nessuno può entrare nella camera blindata e portarsi via un simbolo non suo.”
“Beh, qualcuno lo ha fatto!” Protestò Martedì, mordendosi il pugno chiuso. “Stamattina non era più al suo posto, il guardiano mi ha detto che Carnevale era passato a ritirarla, ma Carnevale è partito per Rio due giorni fa e comunque non si sognerebbe mai di portarla in giro, chissà cosa potrebbe succedere! Qualcuno si è fatto passare per lui e di certo non sono stato io!”
Su questo non c'erano dubbi. Carnevale era uno spirito leggero, mutevole, in grado di cambiare all'occorrenza. Suo fratello Martedì incarnava l'ultimo giorno di festa prima della Quaresima – anche lei, per altro, celebrazione dipendente – era lo spirito dell'abbondanza, dell'abbuffata, di leggero aveva soltanto lo spirito e, a meno che non fosse andato quello vestito da Carnevale a prelevare la maschera, nessuno avrebbe mai scambiato Martedì per suo fratello, senza contare che Martedì non aveva alcun bisogno di travestirsi per recuperare dalla camera blindata un simbolo che poteva legalmente usare.
“Senza la maschera, sono perduto,” riprese a piagnucolare Martedì. “Cacceranno sia me che mio fratello come hanno fatto con i Lupernalia!”
In genere Martedì tendeva sempre ad esagerare – Faustino ne sapeva abbastanza di primedonne per capirlo alla prima occhiata – e adesso era evidentemente in preda al panico, senza contare che i Lupernalia non erano stati affatto cacciati ma mandati in pensione, ma stavolta aveva ragione: la situazione era effettivamente grave. Tutti i simboli dovevano sempre restare all'interno dei confini del palazzo, poiché portarli fuori era rischioso. La perdita di un simbolo significava la fine della festa stessa che veniva dimenticata per sempre. Si parlava di svanire nel nulla, altro che di licenziamenti e pensioni.
“Dobbiamo scoprire chi ha preso la maschera,” commentò Faustino.
“Chi potrebbe aver fatto una cosa simile?” Singhiozzò Martedì. Provò a tirare una manciata di coriandoli per vedere se gli risollevavano il morale ma quando quelli atterrarono sulla superficie del lago delle sue lacrime e poi andarono a fondo, scoppiò di nuovo a piangere. “Chi può voler fermare il Carnevale?”
Faustino aveva una risposta precisa per quella domanda ma, evidentemente, nonostante la rabbia improvvisa che stava riuscendo a scuotere perfino l'apatia insita nella propria persona, c'era in lui qualche pallida traccia d'amore se non la disse a voce alta. Un quadro perfetto di quello che doveva essere successo – salvo alcuni particolari oscuri che si sarebbe certo premurato di chiedere – si dipinse istantaneamente nella sua testa. Era davvero possibile che Valentino, pur nella sua sconfinata idiozia, fosse arrivato a tanto al fine di averla vinta sulla faccenda della festa degli innamorati prolungata all'infinito? La risposta era evidentemente sì. E da quel semplice pensiero, che trovava conferma nell'assoluta baraonda in cui l'intero palazzo era stato gettato, ne nasceva un altro: com'era stato possibile che qualcuno ai piani alti avesse trovato Valentino – uno che palesemente aveva passato troppo tempo a farsi le tinte da adolescente per poter avere ancora il cervello sano – un buon candidato per ricoprire una carica come quella? Valentino non era cattivo e lui lo adorava – per carità, non diceva di no – ma Valentino era anche scemo senza speranza ed era meglio che fosse lui ad andare a prenderlo a sberle che non il consiglio disciplinare. Pertanto, arrabbiato come una festa infrasettimanale, girò in fretta sui tacchi e si allontanò, lasciando Martedì al suo oceano di lacrime.

*


“Non so di che cosa tu stia parlando,” fu il commento di San Valentino quando Faustino si presentò a casa sua e gli chiese conto e ragione della maschera scomparsa. Disteso su una sdraio in costume da bagno, prendeva il primo sole di fine febbraio, evidentemente ignaro dell'ultima neve che ancora decorava la ringhiera del suo terrazzo. Conoscendolo, Faustino si fermò nel punto giusto per fargli ombra, così che fosse costretto ad aprire gli occhi e guardarlo. “Tino, ti spiace? Sto prendendo il sole.”
“A quanto sembra, hai preso anche qualcos'altro.”
Valentino abbassò lo schermo in alluminio per riflettere i raggi del sole sul viso e lo guardò con aria strana. “Se questa voleva essere una battuta a sfondo sessuale, sono orgoglioso del tuo tentativo ma per onestà ti dico che potresti fare di meglio.”
Faustino contò fino a dieci e cercò di ricordarsi per quale motivo, due anni prima, avesse deciso di accollarsi la piaga che aveva di fronte. “Non era una battuta di nessun genere e dovresti guardarti bene dal parlare di onestà visto quello che hai fatto.”
“Io non ho fatto niente.”
“Valentino!”
“Che c'è?”
Faustino sospirò e si lasciò andare seduto sulla sdraio che sobbalzò un po', costringendo Valentino a sedersi tutto da una parte per evitare che si ribaltasse. “Ascolta, piantala di mentire, d'accordo? La maschera di Carnevale è sparita e so che l'hai presa tu.”
Valentino mise su un broncio da manuale credendo – a torto – di poterlo intenerire. “Perché sei tanto sicuro che sia stato io?”
A Faustino scappò una risatina isterica e quindi doppiamente inusuale per lui. “Vale, nessuno può entrare nel palazzo della A.F.A. se non è una festa riconosciuta perché il palazzo è invisibile, mi seguì? Quindi ammesso che qualcuno oltre a noi sapesse che esistiamo e quindi sapesse dell'esistenza della maschera, non potrebbe comunque trovarci perché neanche il palazzo – teoricamente – esiste. E questo cosa significa?”
Valentino ebbe la faccia tosta di sgranare gli occhi e aprire la bocca in un'espressione sorpresa. “Che è sorprendente come qualcuno, che non sono assolutamente io, sia riuscito ad entrare in un palazzo senza vederlo e a rubare qualcosa di cui non conosceva l'esistenza! Deve aver visto la maschera e aver intuito che fosse importante. Accidenti! Questo misterioso ladro ha davvero avuto una bella intuizione!”
“No, significa che il ladro è uno di noi.”
“Oh,” commentò Valentino, con la faccia di uno che ci sta davvero pensando. “Hai controllato Halloween? Quello non mi è mai piaciuto!”
Faustino sospirò ancora e chiuse gli occhi per un attimo. “Halloween non c'entra niente.”
“Ah no? E che mi dici del fatto che anche quando lavora lui la gente si traveste? Eh? Eh? Eh?” Insistette San Valentino, colpendolo ripetutamente con l'indice sul petto. “Lo sai, eh, lo sai che negli Stati Uniti Halloween è la sola vera festa in cui ci si traveste? Eccolo lì il tuo colpevole! Vuole annientare Carnevale così da prenderne il posto, te lo dico io!”
“Ma cosa vai dicendo!” Sbottò Faustino esasperato e con un gemito così stanco che perfino Valentino la smise di agitare le braccia nel J'accuse più ridicolo della storia. “Halloween non avrebbe la forza di gestire più di un giorno all'anno e la sua festa ha già preso piede anche qui! Non ha alcun bisogno di rubare un bel niente a Carnevale!”
“Allora Ferragosto!” insistette Valentino. “Nessuno si veste mai a Ferragosto. Sarà geloso, io che ne so?”
“La gente non si veste perché fa caldo! Valentino ma cosa stai dicendo?”
“Cerco solo di--”
“Adesso basta, maledizione!” Faustino batté con violenza una mano sulla sdraio e San Valentino si zittì di colpo, irrigidendosi per la paura. “Ne ho abbastanza di questa pagliacciata. Ne ho abbastanza delle tue scuse, del tuo egoismo – che se permetti è un bel po' fuori luogo dalla festa dell'amore –, e ne ho abbastanza di tutti i tuoi tentativi di sovvertire l'ordine delle cose. Possibile che non riesci mai ad accontentarti? Quello che hai non è mai abbastanza, non è mai sufficientemente ben fatto o non ti soddisfa mai come dovrebbe! Sei pesante, pedante e francamente né io né nessun altro avremmo alcun dovere di starti a sentire, per cui forse – e dico forse, Valentino – dovresti renderti conto che la gente che ti tollera ti fa soltanto un favore e dovresti essergli grata! Sono due anni che mi chiedo se tu non abbia ragione, se io non sia un po' troppo rigido, se dovrei aprirmi di più o che altro e tu cosa fai? Rubi la maschera di Carnevale e quando mi presento qui prima che lo faccia la disciplinare per farti a pezzi tu mi racconti delle balle, credendo che io sia scemo! Sai cosa ti dico? Fai come ti pare. Continua a negare di essere stato tu, resta qui a prendere il sole. Prima o poi qualcuno noterà la traccia di coriandoli che porta fino a te e allora ti toglieranno anche l'unico giorno che hai!”
“Traccia di coriandoli?” Esclamò allarmato Valentino, tirandosi su a sedere.
“Sì, coriandoli,” precisò Faustino, indicando la linea colorata che risaliva le scale fino a lui. “Ti sono rimasti attaccati mentre la portavi via e sei così preso da te stesso che non te ne sei nemmeno reso conto. C'è letteralmente una traccia che dal palazzo arriva fino a casa tua. Se anche non fossi stato certo che il colpevole eri tu, lo avrei capito comunque e, credimi, non ci vorrà molto perché lo facciano anche loro!”
Faustino gli lanciò un'ultima occhiata arrabbiata e delusa, e poi si avviò a grandi passi verso l'uscita. A quel punto San Valentino si alzò in piedi e gli corse dietro, gettando via asciugamano e bibita con l'ombrellino. “Tino, aspetta!” Lo chiamò, bloccandolo prima che potesse lasciare la terrazza. “E va bene, d'accordo, sono stato io.”
“Ma non mi dire,” commentò Faustino, togliendogli un paio di coriandoli dalla spalla e mostrandoglieli come a sottolineare il discorso appena fatto. San Valentino arrossì.
“Volevo soltanto qualche giorno in più.”
Come ogni volta che Valentino metteva da parte la convinzione di avere il diritto di fare qualcosa e ammetteva le proprie colpe, Faustino non fu più in grado di essere arrabbiato con lui e sospirò. “Lo sai che non è così che funziona,” gli disse, scostandogli un ciuffo di capelli dal viso per sistemarglielo dietro l'orecchio. “Non puoi costringere la gente a festeggiare San Valentino ad oltranza nella speranza che sentano la festa con la stessa intensità con la quale la senti tu. Il minimo che ti può capitare è che tu gli venga a noia. E poi pensaci un attimo, nessuna festa può durare in eterno! Pensa se ci facessimo regali tutto l'anno o se non facessimo che mangiare cioccolato. Ogni cosa perderebbe valore, ti pare?”
Valentino ci pensò su qualche istante, ma non sembrò convinto. “Ma non chiedo tanto, soltanto qualche giorno,” protestò. “Carnevale dura un sacco di tempo. E' forse più importante travestirsi che non amare qualcun altro?”
“La gente non smette di amare qualcuno il giorno dopo San Valentino, ti pare?” Sorrise Faustino. “Ma in quell'unico giorno speciale, tutto diventa incredibilmente più importante. Un solo giorno, ventiquattro ore, in cui due persone celebrano il fatto di stare insieme. Non è incredibilmente più romantico di una settimana di bagordi in cui due fidanzati vestiti da gatti si ubriacano per strada lanciando coriandoli e suonando trombette?”
Valentino fece un cenno con la testa. “In effetti...”
Faustino sospirò di sollievo in maniera quasi comica. L'ultima volta che Valentino aveva avuto un colpo di testa simile – aveva tentato di immergere tutte le caramelle di Halloween nel lassativo – c'era voluta quasi una settimana per farlo desistere. E quando era riuscito, almeno, a togliergli di mano il lassativo, Valentino si era barricato in camera con tutte le scorte di cioccolato che aveva già fatto arrivare con due mesi di anticipo, minacciando di suicidarsi con un coma diabetico. “Ora non ci resta che riportare indietro la maschera.”
“Ma se la riporto, sarà come ammettere che l'ho presa io.”
Faustino allora gli chiese l'unica cosa che gli restava da sapere: “Come hai fatto a rubarla, tanto per cominciare?”

*


“Non possiamo essere sicuri che funzionerà di nuovo,” protestò Valentino, inguainato nuovamente nella tuta aderente e coloratissima che aveva usato la prima volta. Faustino gli intrecciò i capelli perché potesse fissarli in una crocchia sotto il cappello e gli passò un'anonima maschera bianca da mettersi sul viso, come quella indossata da Carnevale. In effetti, nessuno lo aveva mai visto in faccia, quello.
“Qui nessuno pretendeva di esserlo,” gli fece presente Faustino.
“Beh, io sì. E poi non hai detto che Carnevale è a Rio?” Continuò Valentino, sempre più nervoso. “Martedì Grasso saprà subito che non sono suo fratello.”
“E' per questo che io distrarrò Martedì mentre tu farai sfoggio delle tue doti di attore e farai credere al guardiano di voler rimettere la maschera dov'era.”
“Sì, ma che cosa gli dico?” Piagnucolò Valentino. “E' stato molto più facile portarla via!”
Faustino gli lisciò il mantello e lo squadrò da capo a piedi per qualche minuto prima di ritenersi soddisfatto del travestimento. Da quello che ricordava – non è che Carnevale passasse poi così tanto tempo in ufficio visto che doveva organizzare diverse parate in diverse zone del mondo – Carnevale e Valentino erano alti più o meno uguali e avevano la stessa struttura fisica, il che aveva permesso a Valentino di inguainarsi in quella tuta altrimenti inaccessibile. “Digli che sei tornato da Rio appositamente per riportare la maschera e che sei sempre stato tu,” lo istruì Faustino. “Martedì si è confuso. Sapeva perfettamente che saresti venuto a prenderla, ma lo ha dimenticato ed è andato nel panico, sai com'è fatto. Rimetti la maschera al suo posto e poi esci di corsa.”
“E quando Carnevale tornerà e sarà chiaro che non era lui che cosa facciamo?” Chiese Valentino.
“La maschera sarà di nuovo nella cassaforte a quel punto e non avrà più importanza chi l'avesse presa o meno,” rispose Faustino. “Ora coraggio, muoviti.”
Faustino gli tirò una spintarella, facendolo inciampare nel corridoio. Il guardiano sentì il rumore dei suoi passi incerti e sollevò la testa, impedendogli di scappare via. “Signor Carnevale!” Esclamò sorpreso. “Pensavo che si trovasse a Rio. E' successa una cosa spiacevole.”
Valentino gli dedicò un sorriso tirato, sperando che la maschera potesse in qualche modo nascondere il panico. “Lo ero,” balbetto. “Ma ora sono qui. E c'ero anche ieri.”
“La maschera è scomparsa,” piagnucolò il guardiano, con ben poca dignità, a dire il vero. “Qualcuno travestito da lei si è introdotto qui e mi ha ingannato, signore. Non potevo sapere che fosse un imbroglione. Era vestito esattamente come lei.”
Il guardiano gli si avvicinò per afferrargli la mano e mostrarsi adeguatamente contrito, ma Valentino fece un passo indietro, inorridito alla sola idea che il tipo potesse toccarlo. Allungò lui un braccio e gli picchiettò sulla spalla con la punta delle dita. “Via via, buon uomo. Non è successo niente,” commentò, cercando di usare un tono magnanimo. “E' stato solo un brutto malinteso. Quello che lei ha visto ieri ero io in persona – come del resto le ho detto – quindi nessuno ha rubato un bel niente.”
“Era lei?” Chiese il guardiano, sollevando lo sguardo sconvolto su di lui.
“Ma certo che ero io, sciocco!” Ridacchiò Valentino. “Mi guardi! Le sembra possibile che qualcun altro potrebbe mai indossare questa tuta così aderente e non mostrare nemmeno un filo di grasso? Eccetto San Valentino, forse. E' davvero un bel ragazzo, a lui starebbe bene...No! No! Ma cosa dico! Solo Carnevale, che sarei io, può indossare questa tuta. Come vede, non c'era motivo di allarmarsi. Ero io, sono io... le ho già detto che ho riportato la maschera?”
Il guardiano osservò con grande imbarazzo e molta confusione quello che pensava fosse Carnevale agitarsi senza sosta e parlare a ruota libera, e infine tirare fuori da una tasca interna del mantello la maschera scomparsa, mostrandogliela con un ghigno nervoso. “Vede?” Insistette Valentino. “E' la maschera. E' lei. L'avevo presa per.... indagini di mercato, sì. Prove sul campo, sai. Cose del genere. Ma ora l'ho riportata. Eccola.”
Il guardiano annuì, sempre più confuso. “Certo, capisco. Ma vede, suo fratello Martedì sembrava piuttosto sconvolto.”
“Certo, certo. Lui è sempre sconvolto. Vive una vita di sconvolgimento,” annuì ancora Valentino, agitando una mano di fronte a sé con poco interesse. “E non ha neanche memoria. Pensi che glielo avevo detto che sarei tornato da Rio per prendere la maschera e l'avrei riportata. Ma quello in testa ha solo stelle filanti, sa? Non mi faccia nemmeno cominciare a dirle che cosa sono le cene di famiglia con lui.”
Il guardiano annuì ancora. Era dubbioso, ma quello che aveva davanti gli sembrava davvero Carnevale, e non aveva motivo di credere che non lo fosse. Certo, se quell'idea sui badge identificativi proposta l'anno prima fosse stata approvata dal consiglio di amministrazione, adesso il suo lavoro sarebbe stato molto più facile. Avrebbe potuto chiedere di verificare le credenziali invece di dover scrutare la persona che aveva davanti con occhio clinico e affidarsi soltanto alla sua memoria. Non era mai stato un fisionomista, lui. “Certo, comprendo,” mormorò. “Ma, scusi se glielo chiedo, signor Carnevale, ma perché non ci ha rassicurati subito quando l'abbiamo contattata. Un messaggio avrebbe risolto le cose.”
“Perché, caro mio, non passo il mio tempo a fingere di tenere sotto controllo una cassaforte, io!” Sbottò San Valentino isterico. “Ho dei coriandoli da produrre, stelle filanti da arrotolare! E poi ha una vaga idea di quanto ci vuole a vestire centinaia di brasiliane per i carri?”
Il guardiano sollevò un sopracciglio, immaginando i succinti costumi delle belle ragazze del carnevale di Rio. “Ma veramente, signor Carnevale...”
“La stoffa è tanta, ma le piume sono anche troppe!” Specificò Carnevale. “Ma che glielo dico a fare? Cosa vuole saperne. Non mi faccia perdere altro tempo, apra questo catorcio.”
Il guardiano annuì e trafficò con il mazzo di chiavi che portava alla vita, quindi ne scelse una enorme che pesava probabilmente quanto Valentino e aprì la pesante porta rotonda della cassaforte. Al suo interno c'erano innumerevoli piedistalli e su ognuno di essi un diverso simbolo, protetto da una campana di vetro. San Valentino superò il proprio simbolo, seguito a ruota da quello di Faustino, senza nemmeno sprecare un'occhiata e questo lo rese così orgoglioso di sé che prese una nota mentale di regalarsi qualcosa più tardi, se non fosse finito per strada. Quindi, raggiunse l'unico piedistallo vuoto, sollevò con cura la campana di vetro sotto gli occhi del guardiano – come voleva la procedura – e mise a posto la maschera che fu attraversata da un bagliore argenteo non appena toccò il piedistallo. Una volta riabbassata la campana, si accese una luce ad indicare che la maschera era al suo posto e Valentino sorrise. “Bene, ecco fatto. Ora posso andare,” esclamò, sfregandosi le mani per liberarsi dei coriandoli. “E' stato gentilissimo, davvero. E si ricordi, ero a Rio ma sono tornato e ora vado a Rio di nuovo. Che pazienza ci vuole, non sto un attimo fermo, vero? Come mi reggo in piedi? Sembra impossibile, vero? Lo so. Ma consumo tanto ginseng!”
Il guardiano lo sentì parlare anche dopo che fu scappato di corsa dalla cassaforte ed ebbe girato l'angolo, scomparendo per sempre.

*


Tre settimane dopo, San Valentino sedeva alla sua scrivania, intento a sistemarsi i capelli. Dal momento che il giorno dopo aver rimesso la maschera al suo posto nessuno era venuto a casa sua per arrestarlo e nemmeno quello dopo o quello dopo ancora, si era ritenuto al sicuro e adesso la questione della maschera non era che un vago ricordo nel fondo del pozzo nero che era quella parte del suo cervello in cui metteva tutte le cose che non gli interessavano più, cioè quasi ogni cosa dopo i primi cinque minuti di grande entusiasmo. Perciò, quando Carnevale – di ritorno da New Orleans – si avvicinò a grandi passi alla sua scrivania, lo accolse col sorriso inconsapevole e compiaciuto che riservava a chiunque avesse un sedere come il suo. “Bentornato!” Cinguettò, chiudendo lo specchietto da borsetta. “Com'è andato il viaggio?”
Carnevale, un fianco gettato in fuori con aria infastidita e due occhi azzurri così furenti da poter passare il metallo da parte a parte con un solo sguardo anche da dietro la maschera bianca, si chinò su di lui, arrivandogli così vicino che Valentino avrebbe potuto baciarlo sulle labbra se solo quelle non fossero state arricciate a mostrare i denti in un ringhio animalesco. “So che cosa hai fatto,” sibilò a bassa voce Carnevale, con un tono così acido che l'altro deglutì, terrorizzato. “Non posso provarlo, ma so che sei stato tu. E ti avverto, se ci riprovi, anzi se anche solo ti fai passare l'idea di provarci in quel cervello pieno di ovatta che ti ritrovi, io prima ti spezzo le gambe e poi ti lascio in mezzo di strada ad Ivrea prima dell'inizio della battaglia delle arance. Quando avranno finito, se sei ancora vivo,” precisò Carnevale, sbuffando sul naso di Valentino fiato caldo che sapeva di zucchero a velo, “ci vorranno i pompieri per staccarti dal pavimento.”
Valentino si immaginò coperto dalla polpa di centinaia e centinaia di arance, con i capelli così luridi e appiccicosi che avrebbe dovuto per forza tagliarli. Forse gli sarebbe venuto il diabete prima che potesse riuscire a strisciare in un posto sicuro. Sconvolto, rimase a fissare il vuoto mentre Carnevale lasciava la stanza sotto lo sguardo sconcertato dei presenti che non avevano sentito una parola e non avevano idea di cosa fosse appena successo tra i due.
Faustino lo trovò che fissava il muro e ripeteva incessantemente “Le arance no, le arance no”. Abituato alle periodiche follie del suo fidanzato, si limitò a scrollare le spalle e a sedersi alla sua scrivania.
Prima o poi, pensò, gli sarebbe passata.

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