Personaggi: Chakuza, Fler
Genere: Introspettivo
Avvisi: Slash
Rating: PG 15
Capitoli: Scritta in occasione della notte bianca di Mari di Challenge.
Note: -

Riassunto: A mio avviso, Chakuza è uno che non dovrebbe mai andare a lavoro".
HO FREDDO E IN CASA NON CI SONO I BISCOTTI


Chakuza è uscito per andare allo studio ad un'ora imprecisata tra le nove e le undici di questa mattina, quando io sono ancora nello stadio in cui non so il mio nome, né dove mi trovo. L'ho sentito alzarsi dal letto e vestirsi perché è l'uomo più rumoroso del mondo in qualsiasi aspetto della sua esistenza, figurarsi quando deve tirare tende, aprire armadi e sedersi ed alzarsi dal letto due, tre, quattro volte per mettersi calzini, pantaloni e scarpe. Mi sveglierebbe anche se fossi morto, immaginate se non lo fa con il sonno leggero che mi ritrovo. Fortunatamente sono uno che si adatta in fretta, così negli ultimi mesi mi sono abituato e non mi sveglio più veramente. Soltanto una parte del mio cervello diventa ricettiva quel tanto che basta per salutarlo quando esce e dirgli che ho capito a che ora torna, anche se poi quando mi alzo mi tocca telefonargli per chiedergli quand'è che effettivamente rientra. Cosa che ho appena fatto, salvo sentirmi dire che non lo sa.
A mio avviso, Chakuza è uno che non dovrebbe mai andare a lavoro o – in alternativa – non dovrebbe farsi degli amanti da lasciare a casa per poi dirgli di aspettarlo lì per un numero imprecisato di ore, questo perché la sua casa fa schifo e non è un bel posto in cui aspettare con ansia il suo ritorno.
Innanzitutto in questa casa fa freddo, ma non il freddo che ci si può aspettare alle porte di novembre, che uno magari si mette un maglione ed è a posto. No, qua dentro si gela. E' come vivere in una scatola di cartone in mezzo alla strada, la stessa cosa. Le mura saranno spesse dieci centimetri o sono fatte di polistirolo, non lo so, fatto sta che se ci appoggi una mano sopra è come appoggiarla sul vetro della finestra, l'alito gelato dell'inverno ti entra dentro le ossa e non ti abbandona più. Il riscaldamento sarebbe, forse, una parziale soluzione, se non fosse rotto da quattro anni, da quando, cioè, si è rotto la prima volta, pare, in pieno gennaio, e Chakuza continua ancora a ripetere che deve chiamare un tecnico appena ha tempo; ma quando ha tempo lui non lo spreca a chiamare utili tecnici riparatori di riscaldamenti. No. Lui generalmente scopa. O cucina. O scopa in cucina. In generale trova metodi alternativi per generare calore, i quali il più delle volte consistono nello stendersi nudo insieme ad un altro essere umano. Parsimonioso ed attento all'ambiente, forse, ma non un granché funzionale. Non quando in questa casa si è soli e sprovvisti di qualcuno da denudare.
E poi naturalmente c'è la questione del cibo. Chakuza e il cibo hanno un rapporto tormentato, il che non mi stupisce perché qualunque rapporto di Chakuza è tormentato, non importa di che cosa si tratti. C'è un'incompatibilità naturale tra lui e un qualunque oggetto o persona che con lui venga a contatto. E il cibo, naturalmente, non fa eccezione. Per dire, Chakuza ama cucinare, è una delle poche cose che lo riempia davvero di gioia, che lo faccia guardare al mondo con un bel sorriso invece che con la faccia di uno a cui è appena morto il cane. Quando prende una padella in mano, ci mette dentro il burro e lo fa rosolare, raggiunge una sorta di estasi mistica, una completezza interiore, direi quasi un trip mentale da droghe sintetiche. Lo vedi che si muove per la cucina volteggiando e se tu, per caso, fra un'anatra da spelare e una salsina al pomodoro, gli chiedi le chiavi della macchina nuova per andare a schiantarla contro un muro perché ti annoi, lui, serafico, risponde di sì, di andare pure, ma di tornare verso le sette perché altrimenti il pasticcio di funghi si sciupa. Quando lui è a casa, il frigorifero è pieno. La cucina è piena. Ovunque ti giri ci sono prodotti alimentari che escono fuori da tutte le parti. Non due mele e tre pere, ma intere cassette di frutta. Non un pollo e due hamburger ma tocchi di carne nel congelatore che sembra che abbia ammazzato un essere umano. L'ultima volta c'era tanta di quella pasta italiana che, quando ho aperto il mobiletto, sono stato sotterrato da una frana di orecchiette. Una cosa allucinante.
Quando lui non c'è, però, ecco che la cucina si spegne, diventa più brutta. Perfino i muri sono grigio topo, che poi saranno così anche quando c'è lui ma evidentemente non si vedono, coperti come sono da tende di peperoncini essiccati e non. Così, ora che entro in cucina, con addosso tutti i maglioni che possiedo e una copertina azzurra con i cavallucci marini che è una roba indecente che ho trovato nel suo armadio, mi fermo sulla soglia e sospiro affranto perché del porco da quattro chili e mezzo che c'era solo due settimane fa, disteso sull'isola della cucina con le sue gambette cicciottelle, non c'è nemmeno l'ombra. Vago infelice fino al frigorifero e, quando lo apro, volano i fantasmi di limoni morti da giorni. Il burro è quasi verde e quel formaggio – santo cielo – non voglio indagare. Anche i pensili sono vuoti. Non c'è nemmeno un biscotto, nemmeno uno orfano, magari caduto dalla scatola e finito in fondo dove Chakuza non può arrivare.
Lo chiamo di nuovo, che non è mai una grande idea quando la prima volta mi ha già detto che non sa niente di niente, perché tende ad innervosirsi quando la sua persona naviga nell'incertezza e lui non può farci niente, ma deve essere consapevole di ciò che troverà al suo ritorno.
“Fler, che cosa c'è?” Risponde senza nemmeno salutare.
“Ho freddo,” dico.
Lui rimane zitto per un po' e poi alla fine lo sento sorridere. “E in casa non ci sono i biscotti,” conclude.
Perché dire mi manchi sarebbe troppo scontato.

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